Forse è un segno vero della vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l’erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna!
Memoria vi concede breve sonno;
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
per la prima marea. Questa è l’ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri.
E tu vento del sud forte di zàgare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d’orme di cavalle, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l’airone s’avanza verso l’acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci.
La lirica tratta dalla raccolta Ed è subito sera del 1942 si colloca nella fase della poesia ermetica di Quasimodo. Lo testimonia il linguaggio prepotentemente chiuso a un disteso messaggio descrittivo che si carica, infatti, di simbolismi da cui, tra immagini luminose e musicali, si ricava il messaggio dell’autore che nasce da un preciso istante di emozione lirica: l’irrompere della vita dai ricordi dell’infanzia avviati dal reale e concreto gioco dei fanciulli che nel silenzio della sera fa dire al poeta “Forse è un vero segno della vita” , della vita che egli visse un tempo.
Nasce allora la nostalgia di ieri, di rivedere i giorni di sole della giovinezza che ritornano attraverso la memoria con cui il poeta li può rivivere nella parola poetica del suo linguaggio ermetico. Metricamente si scandisce nell’endecasillabo, frammentato dall’uso continuo degli enjambement che volutamente interrompono la continuità sintattica, spezzandone la chiarezza logica. Il tributo al classicismo letterario oltre che nell’uso del metro tradizionale lo si coglie dall’incipit di foscoliana memoria che ci riporta alla sera, motivo famigliare anche a Pascoli e d’Annunzio, a cui analogicamente il poeta è avvicinato nel suo attimo poetico. Nella sera, di cui il vocio di vita che raggiunge il poeta appare come una gentile voce di “pietà”, è più dolce e malinconico il ritorno al passato avviato dal gioco infantile che attraverso i ricordi riporta il poeta alla vita della sua infanzia quando la vitalità è un fuoco che brucia e non si ha la coscienza del dolore. La memoria, infatti, interrompe l’oblio e i ricordi diventano ombre non più sbiadite ma riaccese di quella vita che si avverte nell’acqua della marea che con il suo impeto sale dal pozzo. Il poeta allora sempre nel chiuso ed ermetico linguaggio poetico sembra voler dire che questo tempo di nuova vita non gli appartiene nella realtà, ma che a vivere sono solo i ricordi, immagini consumate. In questo caso il termine “arsi” avrebbe il significato di consumati dal tempo e dalla stanchezza degli anni. Ma il linguaggio ermetico è anche polivalente, si presta spesso a un’ambigua interpretazione, omette i nessi sintattici e lascia aperta la possibilità interpretativa. E allora “ arsi” isolato dalle due virgole potrebbe avere il significato di un verbo al passato remoto che racchiude la vita che un tempo fu del poeta e di cui ora restano i ricordi “remoti simulacri”.
Con un altro passaggio di memoria analogica il suo passato rievoca la Sicilia, “la terra impareggiabile”, che riaffiora con il suo selvaggio ma dolce profumo di zagare, i fiori degli aranci. La Sicilia è anche terra del mito, dove al vento può essere chiesto di spingere la luna indietro in un mondo di classiche atmosfere evocato da quel “nudi dormono fanciulli” e dove nuvole e alberi si incontrano. Il mito, però, non riesce a obliare il dolore che il poeta sente intorno. La Storia con i suoi venti di guerra è già in moto mentre la storia individuale del poeta è già lontana dai ridenti giorni dell’infanzia. L’airone ne simboleggia l’immagine. Forse è profilo del poeta che vola lontano con la poesia, ma da vicino è brutto a vedersi e prima di volare “s’avanza verso l’acqua” per fiutare in un lento dolore “tra le spine”. Mentre l’airone-poeta cerca e scava nel dolore un ricordo da cui poter volare, qualcuno osserva:la gazza che nell’ossimoro costruito su un’ardita sinestesia ride sugli aranci lasciando l’ambigua immagine di una risata di speranza focalizzata dalla presenza degli aranci o di ghigno beffardo evocato dall’aggettivo “nera”.
Proprio il nero è uno dei poli dell’alternanza cromatica in cui sembra oscillare la lirica; l’altro è semanticamente rappresentato dai termini riaccese, fuoco che evocano il giallo-rosso del fuoco e della luce e questa alternanza suggerisce un’altra lirica del poeta: Ed è subito sera. In un breve istante la sera che porta in sé il colore scuro del buio si oppone al colore della luce solare. Opposizione che da cromatica si fa simbolica. E’ il buio della vita che passa in un attimo lasciando nel poeta il ricordo di un passato in cui egli, come “trafitto” dalla luce che svanisce in un attimo troppo veloce si sente sconfitto dal non poter vivere la vita di un tempo.
Ride la gazza, nera sugli aranci: suggerimenti dalla maturità
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