Uno dei privilegi di essere siciliani è quello di avere un legame spontaneo, quasi inconsapevole, con la civiltà greca, come è provato dalla presenza di molte tracce linguistiche nel parlare siciliano; anzi è proprio il caso di dire che il siciliano ha una corsia preferenziale, un viottolo, una trazzera attraverso cui arriva direttamente al greco: il dialetto. E’ proprio per la naturalezza, la familiarità e la facilità di accesso a questo sentiero linguistico che il siciliano, il quale per atavica pigrizia non oserebbe muovere un passo in più di quello dovuto, lo percorre. Insomma, quanto più il nostro siciliano è convinto di essere radicato nella sua lingua, nel suo mondo lontano da velleità culturali, dal parlare forbito, tanto più mostra il legame con il mondo greco che geograficamente Sicilia non è, ma che ne è parte essenziale. Sono proprio parole non più adoperate o in fase di estinzione per un processo di “italianizzazione” del parlar quotidiano ad esser la prova più tangibile di tale legame. L’elenco completo sarebbe lungo e di certo non troverebbe in questo spazio il luogo più adatto per una completa ed esauriente analisi, ma su alcuni nomi, però, sembra proprio il caso di doversi soffermare. Si tratta, per la precisione, di alcuni nomi propri il cui suono, improponibile a orecchie ormai avvezze a nomi di più delicate sonorità, si modula così: Niria, Filumena e Tufano. Del primo nome è scomparsa la forma dialettale, ma ne è rimasta la traduzione italiana che lo annovera ancora tra i nomi erroneamente ritenuti moderni: Andrea. Questo nome, infatti, è inequivocabilmente di origine greca e ci riporta al significato di uomo, ma anche coraggio, valore: tutte le qualità e le virtù che un vero uomo doveva possedere nell’antica civiltà greca.
Il nome Filumena, dal duro suono dialettale ma dal dolcissimo significato di “amata”, è ormai in fase di definitiva estinzione. Nei suoi confronti è stata fatta un’operazione linguistica poco corretta: infatti, la sua traduzione italiana di Filomena, nel tentativo di alleggerirlo foneticamente attraverso l’apertura vocalica della “u” in “o” lo ha allontanato dalla sua più fedele forma greca Filumene.
Il terzo nome Tufano, dal suono indolente, quasi ad evocare una pigrizia ancestrale, è quasi trasformato del tutto nella sua traduzione. L’italiano Epifanio, infatti, mentre mantiene della forma arcaica solo la parte finale – fano che ci riporta al significato greco del verbo phainomai, mostrarsi, apparire, si avvicina più al nome di una solenne festività del periodo natalizio: l’Epifania, ovvero la Manifestazione, con cui si ricorda la visita dei Magi al Bambin Gesù. Sembrerebbe quindi che il nome Tufano trovi solo nella sua traduzione di Epifanio e nel relativo collegamento alla più dotta Epifania una vera nobilitazione semantica oltre che fonetica, ma non è così! Il tanto snobbato e disdegnato nome Tufano nel suo legame di sangue con la lingua greca, racchiude un significato più profondo, più nobile, più sacro, proponendosi come un vero gioiello di ermeneutica. Recupera, infatti, nel suo suono Tu un’eco della parola greca Theù cioè di Dio, chiarendo e approfondendo la generica Manifestazione nella più profonda Manifestazione di Dio. Forti del valore di tale significato, i due o tre contemporanei a cui è toccato in sorte un simile dotto nome siciliano, senza nulla togliere a chi sottolineava tempo fa “l’importanza di chiamarsi Ernesto”, potranno proclamare a testa alta il loro orgoglio di chiamarsi Tufano.
L’orgoglio di chiamarsi Tufano
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