Uno sguardo al romanzo Annuzza, la maestrina poi Vecchia storia…inverosimile

Il romanzo inizia con l’immediata notizia del fidanzamento della giovanissima Annuzza Milazzo, figlia della za Calogera Tess’e mancia, con il massaro Pasquale Stancavuò.
Sin dalle prime pagine le fisionomie dei personaggi principali si rivelano incompatibili fra di loro e si ha quasi un’intuizione delle dinamiche che muoveranno le vicende della trama.
Da una parte si muove il giovane fidanzato, un massaro ignorante, ma di buon cuore e anche benestante con “una casa, una tenuta…due mule e un bel pugno di monete bianche…” che si mostra innamorato e felice di questo legame; dall’altra si fa avanti Annuzza, un’orfana, ricca solo della sua intelligenza e di “molto amor proprio“ che non è “altrettanto felice” di quel fidanzamento che ha accettato solo per non deludere le speranze della madre.
Tra i due fidanzati si colloca la za Calogera, la mamma di Annuzza,“ una povera vedova, che da molti anni sudava il suo pane e quello dell’adorata figliola“ che appare subito “beata” all’idea di sistemare la figlia con un vantaggioso matrimonio non sperato.
Nel romanzo la Mancuso con un raccontare vicino al naturalismo di Capuana ripropone l’esistenziale dramma verghiano dei personaggi che vorrebbero fuggire alla loro sorte che nella protagonista si intreccia con quello storico e sociale della Sicilia di fine Ottocento non ancora pronta per l’emancipazione femminile.
Animata da un forte desiderio d’indipendenza e da una tenace volontà per ottenerla, Annuzza, infatti, rifiuta di adeguarsi all’unico modello di comportamento femminile proposto che culminava con il matrimonio-sistemazione scegliendo di studiare per ottenere ”la Patente di maestra” e determinare così il suo destino futuro.
Di questo distacco dal contesto storico e socioculturale in cui ha la ventura di vivere parla anche il suo aspetto fisico con il suo essere “sottile, come tutte le adolescenti che non hanno finito di crescere“ che la allontana dal femminile modello di mediterranea corposità; con quei “due grand’occhi scuri, intelligenti e fieri” e con quel mostrare“ nel portamento un’impronta di serietà e di sostenutezza signorile”.
Con la sua algida bellezza aristocratica ed emotivamente glaciale così da sembrare incapace di un profondo sentimento d’affetto anche nei confronti della povera madre, Annuzza non appare nell’immediatezza un’eroina positiva e come tale non viene subito amata.
Sin dalle prime descrizioni e per quasi tutto lo svolgersi del romanzo il personaggio sentimentalmente positivo sembra proprio Pasquale, il fidanzato che accetta da Annuzza il patto di rimandare il matrimonio fino al conseguimento del diploma di maestra rivelando nell’amore che sente per questa “gioia di figlia” la capacità e la forza di rompere le convenzioni sociali del tempo che non accettavano di certo le idee di emancipazione femminile.
Pasquale innamorato e “superbo” della sua Annuzza così istruita, accetta sempre e tutto e si offre anche di pagare le spese necessarie per suo il soggiorno a Caltanissetta dove potrà continuare gli studi per diventare una maestra.
Senza saperlo, però, egli contribuisce ad un allontanamento inesorabile: mentre Annuzza procede sulla sua strada dello studio che la fa progredire culturalmente, facendole desiderare una vita diversa da quella prospettata con il rozzo fidanzato, Pasquale resta quasi prigioniero della sua ignoranza che trasforma in solitari monologhi i tentativi di parlarle.
Sui due giovani si illude di vegliare la madre di Annuzza, che porta nei suoi umili gesti e pensieri i millenni di sottomissione che le donne povere della Sicilia hanno imparato dalla nascita; spera di veder sistemata la sua Annuzza con Pasquale ma non riesce a scongiurare la rottura del fidanzamento da parte della figlia.
“La za Calogera, sbalordita e sconvolta… rimase a guardar sua figlia senza dir verbo. Finalmente la prese per le braccia, cercò di rabbonirla, tentò anche, piagnucolando,…di rammentare in quali strettezze vivevano ambedue, prima che Pasquale le aiutasse”.
Ancora una volta i due protagonisti procedono per strade diverse: Pasquale si immola perché, per difendere l’onore di Annuzza, messo in discussione dalle irriverenti parole di don Filippo, assessore corrotto e strozzino, lo affronta in una rissa e viene ingiustamente accusato di averlo accoltellato, finendo così in carcere; Annuzza, in un crescendo di maturazione personale,trova il coraggio di prendere la decisione che più le sta a cuore: lasciare Pasquale e restituirgli i soldi e i regali ricevuti per riconquistare la libertà.
Questa scelta, però, impone alle due donne di ipotecare la casa per ottenere i soldi necessari al riscatto e, in un intreccio determinante per il finale del romanzo, il destino vuole che sia proprio don Filippo, l’usuraio affrontato da Pasquale, a concedere il prestito.
A questo punto il romanzo non solo ha una pausa nel ritmo della narrazione dove si attenua l’intensità drammatica delle vicende ma tralascia l’osservazione delle vicende di Annuzza per seguire da vicino l’altro protagonista.
Pasquale, infatti, passato il primo periodo di disperazione per la fine del fidanzamento con Annuzza, appresa non appena esce dal carcere, si sposa con Bastiana, una cugina,e si avvia a una vita che appare stemperarsi in una maggiore serenità esistenziale.
Bastiana non è Annuzza. E’ “matura, scialba, impassibile” ma è una perfetta moglie che tiene la casa come “una chiesina”, si occupa di lui lo aiuta anche in campagna.
“Egli …era contento …ch’ella fosse assolutamente dissimile da Annuzza e che niente niente nella pingue figura di Bastiana, nelle sue tarde e misurate movenze, nella faccia bianca e slavata, negli occhi senza espressione, nel parlare pacato e prettamente contadinesco, gli richiamasse quell’immagine aborrita e pur troppo rimpianta.”
E’ quella di Pasquale una quiete senza vita, non ha il sapore della profonda pace così come è solo gratitudine il sentimento che riesce a provare per la moglie che …”senza sua intenzione, senza saper come, in certi momenti …si sorprendeva a chiamarla col nome di quell’altra!”
Ma quell’altra sta per tornare nella vita di Pasquale.
Un giorno inaspettatamente la vicina casa delle due donne si riapre e da quello spiraglio esiguo e fragile passerà nei pensieri e nell’animo del giovane sposo un‘idea fissa che un giorno, dopo averla vista, diventa “impeto di correre ad afferrarla, a reclamarla per sua!”.
Poi l’epilogo veloce e inaspettato.
La za Calogera entra in scena e irrompe nella casetta degli sposi per restituire i soldi e i regali che Pasquale aveva donato alla figlia e riferisce ingenuamente che Annuzza vorrebbe una ricevuta.
L’idea di compensare l’amore provato per la sua fidanzata di un tempo con due “paroline di ricevuta” portano al culmine il silenzioso, ma non meno profondo, processo di follia che Pasquale ha vissuto all’arrivo di Annuzza.
In un istante il non sopito dolore di essere stato rifiutato fa sì che solo il sospetto che Annuzza possa essere in un non ben chiaro obbligo con don Filippo, al quale egli immagina sia destinata la ricevuta richiesta, diventi folle gelosia.
Qui il racconto si ferma e si riapre il sipario sul dramma in atto dove si muovono solo i due protagonisti che le vicende hanno cambiato: il mite e paziente Pasquale trasformato in carnefice e la fredda e distante Annuzza diventata l’indifesa vittima sacrificale.
Bastiana e la za Calogera sembrano solo due comparse impotenti e incapaci di fermare la tragedia perché, come appare nella misogina descrizione della Mancuso, “sulla porta, impigliatesi insieme nelle loro gonne, si arrestarono per disbrigarsi” lasciando così a Pasquale il tempo di avventarsi su Annuzza.
Quando la za Calogera arriva sulla scena è troppo tardi: trova la sua Annuzza senza vita e lei, la madre che aveva sempre vegliato su quell’unica figlia, capisce che non è stata in grado di proteggerla e,mentre “piangendo, smaniando, tentò di sollevarla da terra” ricrea una plastica immagine di pietà, interrotta solo dai lamenti di Pasquale che, sfogata la sua furia animalesca, continua a chiedersi, quasi rantolando: “Annuzza, mia!!…Come ti ho potuta uccidere?”
La sua Annuzza muore senza averlo mai tradito, senza essere venuta mai meno al suo onore di giovane donna, ma solo per aver voluto conquistare la sua indipendenza e la libertà di non sposare l’uomo che non amava.
Senza saperlo è stata la sua colpa più grande.


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