
Nata nel 1887 ad Alimena in provincia di Palermo da Gaetana Valenza Traina, una nobildonna decaduta, e da Gaetano, ispettore scolastico, Maria Messina sembra trovare nella sua biografia elementi chiave della sua narrativa. Vive un’adolescenza non molto serena: è, infatti, isolata da tutti, chiusa all’interno della sua famiglia da cui la salva il fratello aiutandola a intraprendere gli studi e incoraggiando la sua inclinazione alla scrittura dove, a poco a poco, prendono forma personaggi e ambienti del suo narrare. Mentre i suoi lavori trovano ben presto editori disponibili alla loro pubblicazione, la giovane scrittrice lascia l’isola e, dopo vari spostamenti in Umbria, nelle Marche e in Toscana, nel 1911 si trasferisce a Napoli vivendo un periodo di serenità. Giovanissima conosce il successo: editori come Sandron e Treves pubblicano i suoi racconti che godono l’apprezzamento di Giuseppe Antonio Borgese e Ada Negri, mentre lo stesso Giovanni Verga con il quale, dal 1909 al 1921, ha una fitta corrispondenza epistolare, la incoraggia personalmente a pubblicare un suo lavoro. Proprio dal modello verghiano sembra originarsi il narrare della Messina che si muove tra personaggi senza possibilità di riscatto e condannati alla solitudine per il loro tentativo di ribellione: siano essi umili emigranti o donne di una realtà piccolo borghese. È quanto accade, infatti, a Vanna, la protagonista del racconto “Casa Paterna” che, ritornata da sola nella casa nativa per fuggire dalle umiliazioni cui la sottopone il marito, un giovane avvocato che vuole spiccare nella Roma d’inizio secolo, non trova nella sua famiglia l’accoglienza sperata. La sua casa non le appartiene più: vi trova, infatti, nuovi volti e si accorge che sono affettivamente lontani quelli a lei, un tempo, famigliari. Fatta eccezione per Maria, un’amica prima che cognata, a lei legata da un sincero affetto, la povera Vanna è circondata da estranei che la giudicano e la puniscono con un continuo ed estenuante distacco per la sua colpa, l’arcaica e inesorabile ubris, di voler disobbedire alle convenienze sociali.
Vanna, sempre più isolata dalla “famiglia” e consapevole che la fuga dalla casa coniugale possa realmente comprometterne il buon nome, rovinando così il futuro della giovane e nubile sorella, si arrende e si rassegna a una vita senza speranza di felicità, accettando di ritornare a Roma.
Bastano, però, poche parole del marito, sempre più egoista e cinico, che, invitato dai fratelli, la raggiunge a ricordarle la vita da cui aveva tentato di fuggire.
Vanna capisce con estrema chiarezza che non può ricominciare la sua vecchia vita, ma non ha più scampo: scappa e si dirige verso la spiaggia aspettando che il mare, il suo mare, la raggiunga a compensarla della felicità che la vita le ha negato.
La vita dei personaggi della Messina è scandita da destini comuni e infatti anche Miriam e Severa, le due sorelle del romanzo “L’amore negato”, non hanno diritto alla felicità.
Come il titolo suggerisce è appunto l’impossibilità di essere amate a determinare la stessa sconfitta nelle loro vite così differenti.
Diverse, infatti, queste figure appaiono sin dalle prime immagini in cui si presentano: dolce, legata alla famiglia e serena del suo modesto lavoro di ricamatrice Miriam, nel cui nome si legge un’eco di quello dell’autrice, che nei suoi sogni quasi adolescenziali insegue l’idea del grande amore; arrogante, egoista e incapace di veri legami affettivi con i suoi familiari, invece, Severa, che all’inizio della narrazione non sembra aver tempo e voglia di innamorarsi impegnata com’è al raggiungimento del suo unico obiettivo: arricchirsi e farsi un nome, anche se solo come modista, nella buona società del luogo.
Un corteggiatore inaspettato, ma poi amato e creduto sincero farà irruzione nella semplice vita di Miriam e con la mancata fedeltà ne dissolverà i sogni senza riuscire ad abbatterne la forza d’animo; un giovane casualmente impiegato come contabile nel laboratorio si insinuerà giorno dopo giorno nel cuore e nei pensieri di Severa fino a farla impazzire non appena la povera modista scopre che sta per sposare un’altra.
Così come i suoi personaggi anche Maria Messina è senza riscatto: colpita dalla sclerosi multipla negli anni Trenta, cerca di ribellarsi alla malattia che ben presto la immobilizza impedendole anche di scrivere. Si chiude in una solitudine forzata e muore nel 1944 a Pistoia, dimenticata da tutti.
Nel 1980 è riscoperta da Leonardo Sciascia.
Bibliografia
Maria Messina, L’amore negato, Sellerio, Palermo,1993
Maria Messina, Casa paterna, Sellerio, Palermo, 1981
Rita Verdirame in Narratrici e lettrici (1850-1950) Le letture della nonna dalla contessa Lara a Luciana Peverelli, libreria universitaria.it
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