
“Contessa, cos’è mai la vita…”
forse questo si chiedeva Antonio Bruno, barone di Biancavilla, nella sua camera dell’albergo
Italia a Catania in una solitaria sera d’estate.
Con i versi di Carducci si interrogava e aggiungeva
“ È l’ombra di un sogno fuggente”.
Fuggente fu proprio la vita di Antonio Bruno, nato a Biancavilla nel 1891 e morto a Catania nel 1932, durata, infatti, solo quarantun anni, ma vissuta con una vertiginosa intensità.
La sua biografia è così ricca di vicende che da sola basterebbe a vivacizzare quelle più noiose di insignificanti uomini, ma divenuti più famosi di lui. Viaggia molto Antonio Bruno e non solo in Italia, ma per tutta l’Europa, aiutato dalla sua padronanza delle lingue straniere e spinto da una continua esigenza di conoscenza e da una profonda irrequietezza. Subito dopo aver conseguito la maturità classica, infatti, lascia la Sicilia per Firenze dove può finalmente respirare un’aria culturale più aperta alle novità del tempo. Conosce Palazzeschi e Marinetti, profeti del futurismo, e collabora alla rivista “Lacerba”.
Facendo tesoro di questa esperienza, al suo ritorno in Sicilia dà vita a “Pickwick”, rivista letteraria di rinnovamento che va oltre la tradizione letteraria nazionale per concentrarsi anche su ciò che accade in Europa. Questa smania di nuovo nella letteratura lo porta anche a uno scontro personale con Villaroel e la sua poesia di stampo classicheggiante, documentato nel libello polemico ”Un poeta di provincia”. Non solo critico letterario e traduttore di scrittori europei come Baudelaire, Mallarmé, Rimbaud e Poe, Antonio Bruno è anche poeta e, come poeta futurista, crea una poesia tutta nuova nella forma che dissolve la parola espressiva solo semanticamente, in giochi grafici, come appare in “Fuochi di Bengala”, o che diventa un poema-manifesto murale da leggersi sui muri di Catania.
Moderna la poesia di Antonio Bruno nella forma, ma antica nell’ispirazione che nasce dall’amore, non corrisposto per una donna, Dolly Ferretti, identificata in Ada Fedora Novelli a cui dedica anche “50 lettere d’amore”.
Proprio da questo motivo dell’amore non corrisposto parte la sua attività di scrittore con lo studio “Come amò e non fu riamato Giacomo Leopardi” che è anche un personale tributo all’infinita ammirazione per Leopardi a cui lo avvicinava anche la deformità fisica che lo accompagnò dalla nascita.
Come per una terrena legge di contrappasso il barone Antonio Bruno oppone al suo gobbo aspetto un’eleganza raffinata dove ogni particolare, dalle scarpe inglesi alle camicie di seta, è curato e con il suo sarcasmo, spesso irridente, passeggia per la città di Catania sfiorando con un geranio rosso le facce dei passanti, predicendone anche la sorte.
Distaccato dalle quotidiane e pratiche incombenze e amante com’è della raffinatezza e della bellezza, ben presto dilapida tutto il suo patrimonio così da non possedere più un calesse che da Biancavilla lo trasporti a Catania dove tra l’altro deve rinunciare all’elegante Hotel Bristol per il più modesto Albergo Italia.
Proprio in una camera di questo albergo la sera del 28 agosto, come egli stesso aveva annunciato, si uccide, scegliendo il modo più elegante per farlo: scivolare dal sonno alla morte. Si mette a letto e, mentre ingoia “settantadue”compresse di Veronal, gli tornano in mente senza volerlo, alcuni versi che ha imparato a scuola… e prova a ripeterli: “Contessa, cos’è mai la vita?
E’ l’ombra di un sogno fuggente
La favola bella è finita…”.
Il barone Antonio Bruno, però, non va oltre: non fa in tempo a ricordarne l’ultimo.
Bibliografia
Il Dizionario del Futurismo, Vallecchi
Giampiero Mughini, La collezione, Einaudi
Giosue Carducci, Jaufré Rudel, in Poesie, Garzanti 1988
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