CHE FAI TU, LUNA, IN CIEL?

“Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi che fai, silenziosa, luna?”
Così Leopardi si rivolge alla sua “Silenziosa Luna” chiedendole di svelargli le “mille cose” e i mille perché della vita di ogni uomo.
Non è solo un’immagine poetica il colloquio-monologo del pastore errante leopardiano: quello tra l’uomo e la Luna è un eterno dialogo silenzioso quasi un appuntamento con se stesso.
È allora contemplazione assoluta, quasi mistica, della pace che un notturno lunare, quando il cielo è limpido e l’aria è serena, sa regalare agli uomini ispirando loro un unico sentire che si è rivelato attraverso parole e versi che la storia ha modellato.
Così si legge in Omero quando nell’VIII canto dell’ILIADE (versi 555, ss.) descrive il paesaggio lunare che riesce a commuovere anche il semplice pastore : “quando in cielo limpida è la Luna / e tremule e graziose a lei dintorno / brillano le stelle, allor a che l’aria / è senza vento e allo sguardo tutte/si svelano le torri e le selve / e le cime dei monti”.
Mille e mille anni trascorrono da questi versi, ma l’immagine del notturno lunare resta immutata e mostra la sua freschezza e nitidezza nella contemplazione che Leopardi affida a “La sera del dì di festa” dove “ Dolce e chiara è la notte e senza vento, /E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti/ Posa la luna, e di lontan rivela / Serena ogni montagna.
Quasi un secolo dopo ritroviamo un’eco di questo paesaggio lunare in Nuttata ‘e sientimento , una canzone napoletana di Capolongo / Cassese che così dice “chiara è la Luna, doce ‘o viento, calmo o mare. Qui, però, l’assenza di vento di omerica e leopardiana visione viene sostituita da un serale venticello (doce) che rinfranca e la pace notturna abbandona la sua stasi contemplativa e diventa notte “e sientimento che nun è fatta pe’ durmì”. Diventa, insomma, invito ad amare che nella notte, però, può essere anche malinconico se si ha di fronte “il calmo chiaro di luna triste e bello che fa sognare…e singhiozzare”, come ricorda Verlaine (Chiaro di Luna)
Il chiaro di Luna che invita ad amare, però, non è solo immagine visiva.
E’ anche sussurro nella notte di note che si levano dall’animo innamorato di Beethoveen e diventano una “Serenata al chiaro di Luna” per la Contessina Giulietta Guicciardi.
In un Adagio di solenne e struggente contemplazione l’immagine della luna è racchiusa nelle mani che toccano i tasti di un pianoforte e guida i bassi lenti e forti della sinistra e suggerisce malinconici e profondi arpeggi alla destra. Siamo nel 1801 e molti decenni dopo quasi alla fine del secolo ecco un altro pianoforte suonare nella notte. E’ “ il clair de lune” di Debussy che,pur senza la solenne staticità contemplativa, ma con tocchi di sfuggente malinconia e lieve nostalgia fa rivivere le sensazioni quasi universali provate al riflesso argentato della luna.
Ancora “Blue”, non nell’accezione cromatica ma nell’ indefinibile fisionomia evocativa è la luna nello swing regalatoci da Frank Sinatra che le cantava “ Blue moon, you saw me standing alone/without a dream in myheart/ without a love of my own”( malinconica luna, tu mi hai visto stare da solo, senza un sogno nel mio cuore, senza un amore tutto mio).
Con modulazioni più semplici e armonie più orecchiabili i ritmati passaggi jazz diventano accordi più lineari nelle notti degli innamorati di partenopea anima dove occorre poco: basta, infatti “ ‘na voce, ‘na chitarra e ‘o poco ‘e luna… per fare una serenata”( ‘na voce , ‘na chitarra e ‘o poco e luna, di Rossi, Calise) e dove, però, è altrettanto sufficiente la tenue luce di un quarto di luna per scoprire l’inganno di non essere riamati –“Nun ‘nce vo’ na luna chiena pe’ capì si me vuo’ bene“ (Nu quartu ‘e luna di Tito Manlio, Oliviero).
Insomma la luna rende più insopportabile il distacco da chi si ama specie se si affaccia luminosa sul mare come ricordava Fred Buscaglione che così cantava: “Guarda che luna, guarda che mare/in questa notte senza te vorrei morire/ perché son solo a ricordare.”(Guarda che luna, di Elgos, Malgoni).
A lei che sorridendo sembra guardare gli innamorati e comprenderli, così si rivolgeva Gianni Togni( Luna, di G. Morra, G. Togni) negli anni 80 con un semplice giro armonico “Luna tu parli solamente a chi è innamorato/ chissà quante canzoni ti hanno già dedicato” ricordandoci che lei, la Luna, è sempre compagna degli amanti.
Può essere amica o pericolosa galeotta soprattutto se a mezzanotte fa da sfondo a un incontro fra amanti come ricordava il Quartetto Cetra che così esortava: “Non ti fidare di un bacio a mezzanotte / se c’è la luna in ciel non ti fidar/ perché perché la Luna a mezzanotte riesce sempre a farti innamorar” (Un bacio a mezzanotte, di Garinei, Giovanni e Kramer).
Sa diventare anche severa sentinella che fa arrossire le pudiche ragazze di un tempo e allora le viene chiesto dai giovani amanti di smorzare il suo sfavillio nell’oscurità notturna e con briosi accenti da operetta così le cantano: “Sii cortese con me, non brillar che la bella nell’ombra sol si fa baciare “(Fox della luna, dal Paese dei campanelli, di Lombardo, Ranzato); sperando, in fondo, che Lei continui a brillare perché la sua assenza è terribile perdita di una luce amica, se fa dire alla poetessa Saffo “Tramontata è la luna e le Pleiadi a mezzo della notte; giovinezza dilegua e io nel mio letto resto sola”; non può che essere desolazione come ci ricorda Leopardi (Il tramonto della Luna) che così scrive “Scende la luna; e si scolora il mondo;/ spariscon l’ombre ed una/oscurità la valle e il mondo imbruna,/orba la notta resta”.
Per fortuna lei, la Luna, ritorna fedele all’appuntamento con l’uomo e ripete il miracolo, come fece con Ciaula (Luigi Pirandello, Ciaula scopre la luna, da opere mondadori 1969) quando ”Grande, placida, come un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia…mentr’ella saliva pel cielo…col suo ampio velo di luce…nella notte ora piena del suo stupore”.


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